Efficienza e bellezza non sono due valori in conflitto, anzi. Nella progettazione del workspace, esse rappresentano due driver sui quali poggiano le basi della cultura aziendale
Coniugare la bellezza alla funzionalità di un oggetto o uno spazio fisico è da sempre la sfida par excellence del design, anzi la sua vera missione ultima. Se parliamo di uffici, design e architettura hanno proprio il compito di fondere la dicotomia smart vs beautiful affinché la loro, non sia più una dicotomia, bensì un’armonia di forme ed estetica al servizio della cultura aziendale e degli obiettivi economici.
Quello della bellezza è uno dei temi più dibattuti in oltre due millenni di filosofia. Eppure non esige troppe spiegazioni. Intuitivamente la si afferra subito, un po’ come la risposta di Sant’Agostino alla domanda: che cos’è il tempo?
“Se nessuno me ne chiede, lo so bene: ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so”
Una cosa è bella “perché è bella”, o meglio, “perché piace”, in quanto generatrice di una profonda connessione emozionale attraverso la sua contemplazione.
BELLO, MA A CHE PREZZO?
Invece dalle parti dei top manager, dici “smart” e dietro l’anglismo intendi le opzioni che garantiscano la massima produttività ed efficienza dei lavoratori mantenendo i costi fissi al livello più basso possibile. In quanto tempesta perfetta per il real estate, la pandemia ha messo l’accento su quest’ultima voce di bilancio. Ma anche i garanti del “bello” hanno il loro bel da fare.
L’estetica di un ufficio interseca e plasma la cultura aziendale: l’immagine interna ed esterna, i valori, lo stimolo alla creazione di un ambiente collaborativo e performante.
Post-2020 occorre fare i conti anche con temi più umilmente mondani. Convincere i dipendenti e dare loro buoni motivi per i quali ogni giorno recarsi in ufficio è meglio che rimanere a lavorare da casa. Il remote working dovrebbe essere un’alternativa alla pari, non un ripiego o la “meno peggio” tra le opzioni disponibili.
GEOMETRIE “SMART”
Jim Prendergast, Design Director dell’ufficio di Chicago di Gensler, in un articolo sul blog aziendale ha illustrato il doppio binario che guida la progettazione dell’ambiente di lavoro. Il punto di vista “strategico“, legato al business, e quello del “bello“, alla base della cultura aziendale e dell’esperienza.
Sul primo versante, Prendergast evidenzia tre caratteristiche:
- Geometrie intelligenti
- Flessibilità incorporata
- Improvvisazione intenzionale
Il primo aspetto attiene la progettazione delle superfici (il nucleo centrale dell’edificio, la sua distanza dalle fonti di luce, altezza e ampiezza dei piani) e muove da una considerazione a prima vista banale.
Mentre il mondo del lavoro è attraversato cicli di innovazione e trasformazione molto rapidi, l’architettura di un complesso di uffici deve essere pensata per avere una lunga durata, con tutto ciò che consegue rispetto al valore patrimoniale di un immobile. Proprio in virtù di esigenze che mutano molto rapidamente, la progettazione deve garantire l’intercambiabilità dello spazio, riducendo il più possibile i costi di trasformazione (flessibilità incorporata).
Questo aspetto è complementare – dal punto di vista del lavoratore – alla possibilità di adattare un ufficio a scopi e modalità diversi, in maniera agile e flessibile. Trasformando ad esempio l’angolo caffé in una sala riunioni. Perché a tal proposito parliamo di improvvisazione intenzionale o deliberata? L’apparente ossimoro serve a sottolineare che il concept dello spazio deve essere preceduto da una fase di studio (la mission aziendale, le varie divisioni dell’organizzazione…) che renda prevedibili e dunque disponibili i differenti desiderata di chi si reca in ufficio.
Un ventaglio di soluzioni in grado di mettere un impiegato nella condizione di poter scegliere se, come, quando e dove lavorare, a beneficio della produttività di questi.
L’ESPERIENZA DELLA BELLEZZA
Quella tra efficienza e bellezza, per Adriano Olivetti non fu mai l’esigenza di una scelta. Non si trattava di due alternative auto-escludentesi, né con riferimento ai prodotti che uscivano dalle fabbriche della Olivetti, né nell’organizzazione degli stabilimenti stessi.
Queste parole furono pronunciate da Olivetti il 23 aprile del 1955, durante il discorso di inaugurazione dello stabilimento di Pozzuoli. Finestre basse, cortili aperti e alberi: i volumi architettonici si integrano con discrezione e nel pieno rispetto del paesaggio. Quello partenopeo era un luogo di lavoro a misura d’uomo e che metteva al centro l’individuo.
Il “bello” che si fa “funzionale” e quindi design, è un generatore anzitutto di connessioni emozionali che possono tramutarsi in una maggiore creatività, e in secondo luogo di valori e credenze che contribuiscono a plasmare l’identità e la cultura aziendale. Prendergast associa tre componenti della progettazione estetica del workspace ad altrettanti risultati sotto il profilo valoriale:
- Scelte diversificate ⇨ Collaborazione
- Esperienze su misura ⇨ Comunità
- Stupore premeditato ⇨ Differenziazione
La terza associazione è la più facile da cogliere. Un ambiente di lavoro che generi nel cliente/visitatore un “effetto-wow“, trasmette con immediatezza ed efficacia le aspirazioni dell’azienda, consentendo di smarcarsi rispetto alla concorrenza. Gli account manager ringrazieranno per l’agevolazione.
Collaborazione e cooperazione possono essere incoraggiate mettendo a disposizione una varietà di ambienti di lavoro (dallo spazio per il singolo alla meeting room, oppure una sala stile-caffetteria).
Si promuovono così all’interno della sede occasioni di movimento, contatto informale e scambio di conoscenze tra gli addetti dei vari settori.
Ecco perché – come raccontavamo qui – il design degli uffici tende ora a “rubare” dal settore dell’hospitality (e viceversa), per progettare luoghi di lavoro con spazi e strutture ad alto tasso di socializzazione, ambienti più “caldi” e meno asettici e spersonalizzanti dei cubicoli.
Se nel ‘900 il binomio casa/ufficio ha caratterizzato la vita di milioni di persone, la remotizzazione del lavoro oggi spinge verso forme ibride, dei modi ma anche dei luoghi.
CASA E UFFICIO: MIXARE E NON RINUNCIARE
Tutte le ricerche sul cambio di organizzazione del lavoro a partire dalla primavera dello scorso anno, convergono sulla preferenza per un modello ibrido. Le soluzioni ai due estremi del range (full-time ufficio/full-time casa) sono poco popolari. Dell’odiata scrivania abbiamo sentito la mancanza, e il lockdown ha portato all’emersione delle comodità, ma anche dei rischi del lavoro-agile (qui parliamo di solitudine).
Uno sondaggio condotto tra 2500 lavoratori britannici dal Gensler Research Institute ad agosto del 2020, ha rilevato che solo il 12% vorrebbe timbrare virtualmente il cartellino da casa per cinque giorni alla settimana; e solo il 21% (1 su 5) all’opposto vorrebbe trascorrere l’intera settimana in ufficio. A risultati simili arriva l’indagine del Future Forum di Slack su un campione di 9000 professionisti in 6 Paesi. L’ultimo aggiornamento indica nel 12% la quota di dipendenti disposti a lavorare sempre in ufficio e nel 17% gli aspiranti smart worker full-time.
Insomma, dopo aver trasformato il soggiorno di casa in un ufficio, ora è il momento di arredare le sale riunioni con un tocco più domestico.